Molti dei problemi interpretativi riguardanti il feudo e l'affermazione delle signorie rurali, nella loro più ampia articolazione, sono collegati alla questione dell'intreccio, nel Medioevo, tra poteri privati e poteri pubblici. I poteri privati dei grandi possessori fondiari nei confronti di servi, aldii, liberti sub condicione, commendati, e pure verso alcuni gruppi di contadini liberi residenti nelle grandi proprietà, sono ben documentati fin dall'inizio del secolo VIII. Questi continuarono a essere esercitati in piena età carolingia e oltre, anche attraverso riconoscimenti formali da parte dell'Impero con l'attribuzione a grandi e medi proprietari di limitate forme di districtio nei confronti dei liberi e con l'accettazione della "giurisdizione convenzionale". Invece le prerogative signorili di natura pubblica, espresse in apparente concorrenza con l'autorità centrale, furono gradualmente legittimate da imperatori e re dall'età carolingia in poi, certo non all'interno di un progetto unitario di governo "decentralizzato", ma valutando di volta in volta l'opportunità o meno di tali concessioni. Infatti le donazioni in proprium di Curtes Regiae e di allodi del fisco, con i diritti pubblici collegati, e le immunità positive di varia ampiezza - oltre a consolidare le fedeltà delle aristocrazie ecclesiastiche e laiche - servivano a rafforzare l'attività giurisdizionale e fiscale degli ufficiali pubblici, colmandone le carenze. Ciò è ben evidente in centinaia di diplomi di donazione e conferma di beni e diritti fiscali e di immunità positive per enti ecclesiastici e per fideles laici, che da parte loro avevano precisi obblighi verso il sovrano, come la prestazione di servizi militari e di difesa, donativi, ospitalità e altri servitia, che comprovano la volontà dell'autorità centrale di integrare le signorie rurali nel sistema di governo di vasti territori dell'impero.
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