Nel governo di Diocleziano si passò dalla monarchia alla diarchia, con due imperatori che gestivano l'Oriente e l'Occidente, e quindi alla tetrarchia, con i due Cesari che affiancavano i due Augusti. Roma rimase caput mundi di nome, ma le sedi del potere furono spostate in quattro nuove capitali, Nicomedia in Asia Minore, Mediolanum, Sirmio nell'Illirico e Treviri in Germania. Questa suddivisione dell'impero aiutò a pacificare le due frontiere più calde, quella danubiana e quella persiana, portando le province da quarantotto a centonove, governate da una pletora di funzionari nel segno del terrore per spegnere ogni tentativo di rivolta. La situazione interna fu gestita da Diocleziano con una serie di riforme amministrative e monetarie che raggiunsero solo in parte il loro scopo. La tetrarchia di Diocleziano fu legittimata dalla potenza divina di cui gli imperatori si ammantarono e che trasformò il princeps in un dominus dall'immagine orientalizzante, signore e padrone dell'impero, sempre più distante dal popolo e a capo di un'oligarchia di ministri a lui fedeli. Ma la tetrarchia, che moltiplicava per quattro i tentativi di successione e di presa del potere con conseguenti alleanze e conflitti incrociati, si rivelò subito molto fragile e incontrollabile: non sarebbe sopravvissuta a Diocleziano, che dal suo palazzo imperiale di Spalato assistette alla frana di un mondo che avrebbe voluto governato dagli dèi e dal quale era sempre più lontano.
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