Carlo, re dei Franchi, ha ripudiato Ermengarda, figlia di Desiderio, re dei Longobardi. Ermengarda torna dal padre e chiede di potersi chiudere in convento per trovare conforto nella preghiera. Un messo di Carlo intima a Desiderio di restituire le terre tolte al pontefice. Il re risponde sdegnosamente e la guerra è dichiarata. Alcuni duchi longobardi sono pronti a tradire. Nel campo dei Franchi giunge il diacono Martino a rivelare l'esistenza di un valico che permette a Carlo di prendere di sorpresa i Longobardi. Adelchi si difende strenuamente; intanto Ermengarda muore in convento a Brescia. Un traditore apre ai Franchi le porte di Pavia, ultimo rifugio dei Longobardi. Giunge, morente, Adelchi che ha deciso di combattere fino all'ultimo. Considerato uno degli esempi più alti del teatro romantico italiano, l'Adelchi mette in scena una ricostruzione storica minuziosa, ma anche una trasfigurazione spirituale nella ricerca della "verità" dell'uomo al di là della semplice concatenazione delle sue azioni. In appendice gli "Appunti" per la stesura di una terza tragedia - lo "Spartaco" poi abbandonata da Manzoni.
Nell'Adelchi (1820-22) Manzoni mette in scena una vasta ricostruzione storica degli avvenimenti che hanno preceduto il crollo del regno longobardo in Italia tra il 772 e il 774, travolto dall'avanzata vittoriosa dei franchi. La ragion di stato, incarnata da Carlo Magno, ha leggi ferree che possono solo essere accettate o respinte e non conosce altro rapporto che tra dominatori e dominati, cosicché all'uomo «non resta che far torto, o patirlo». Ma il principe Adelchi, figlio del re longobardo Desiderio, non sa adeguarsi alla logica del potere: al mondo barbarico che si regge sulla conquista, il tradimento e l'oppressione, egli oppone la fedeltà che non si piega al compromesso, l'affetto, la pietà, la ricerca della pace, e come un antico eroe sceglie consapevolmente la propria sconfitta. La tragedia, qui proposta insieme agli appunti preparatori per l'incompiuto Spartaco, segna il punto di arrivo del pessimismo manzoniano sulla storia come dominio dell'ingiustizia e della violenza: all'intensa pietà per i vinti e i vincitori l'autore unisce la dolorosa commiserazione verso il popolo italiano straziato dagli invasori stranieri. Introduzione di Pietro Gibellini Prefazione e note di Sergio Blazina.
Nell'Adelchi (1820-22) Manzoni mette in scena una vasta ricostruzione storica degli avvenimenti che hanno preceduto il crollo del regno longobardo in Italia tra il 772 e il 774, travolto dall'avanzata vittoriosa dei franchi. La ragion di stato, incarnata da Carlo Magno, ha leggi ferree che possono solo essere accettate o respinte e non conosce altro rapporto che tra dominatori e dominati, cosicché all'uomo «non resta che far torto, o patirlo». Ma il principe Adelchi, figlio del re longobardo Desiderio, non sa adeguarsi alla logica del potere: al mondo barbarico che si regge sulla conquista, il tradimento e l'oppressione, egli oppone la fedeltà che non si piega al compromesso, l'affetto, la pietà, la ricerca della pace, e come un antico eroe sceglie consapevolmente la propria sconfitta. La tragedia, qui proposta insieme agli appunti preparatori per l'incompiuto Spartaco, segna il punto di arrivo del pessimismo manzoniano sulla storia come dominio dell'ingiustizia e della violenza: all'intensa pietà per i vinti e i vincitori l'autore unisce la dolorosa commiserazione verso il popolo italiano straziato dagli invasori stranieri. Introduzione di Pietro Gibellini Prefazione e note di Sergio Blazina.