I trionfi, si sa, non sono accidentali. E che la psicoanalisi freudiana abbia trionfato nel Novecento è fuori di dubbio. È riuscita a spodestare paradigmi epistemici rivali, ha rivoluzionato metodi di cura, ha eretto potenti istituzioni a baluardo del proprio sapere, ha pervaso capillarmente la cultura di un'epoca. Ma fu vera gloria? Se lo chiedono Mikkel Borch-Jacobsen e Sonu Shamdasani in un saggio fremente come una requisitoria e dettagliato come un faldone giudiziario. Porsi la domanda è il primo passo per istruire il procedimento d'accusa. Imputata principale, la macchina mitopoietica che ha edificato la leggenda freudiana. A giudizio di Borch-Jacobsen e Shamdasani l'impresa, orchestrata dallo stesso padre fondatore, non avrebbe assunto quell'imponenza senza la concertazione tra eredi di Freud e generazioni di allievi, attenti a presidiare il presente ostacolando l'accesso alle carte del passato, e abili nel riformattare dottrine e nel patologizzare il dissenso. Attraverso un minuzioso apparato di controllo, la compagine freudiana avrebbe dunque fatto quadrato attorno al lascito di Freud, fino a secretarne gli archivi. Le singole mosse vengono qui ricostruite con rigore documentale: l'"eroica" autocanonizzazione di Freud tra i grandi della scienza; l'avocazione alla psicoanalisi degli eventi psichici, la delegittimazione degli avversari; la politica di indisponibilità delle fonti, che ne ha trasformato la custodia in archiviazione tombale. Das Urheberrecht an bibliographischen und produktbeschreibenden Daten und an den bereitgestellten Bildern liegt bei Informazioni Editoriali, I.E. S.r.l., oder beim Herausgeber oder demjenigen, der die Genehmigung erteilt hat. Alle Rechte vorbehalten.
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