Nel giugno del 1947 Malaparte torna a Parigi dopo quattordici anni: non di assenza ma 'd'esilio', precisa, come se la Francia fosse per lui una seconda patria. Una patria anzitutto letteraria: non a caso lo scrittore moderno che sente più vicino è Chateaubriand, di cui condivide i gusti, l'indole, i sentimenti, le inclinazioni - e la profonda malinconia: 'È in virtù di Chateaubriand che, talvolta, mi sento francese'. Non si tratta però solo di inclinazioni letterarie: 'Ogni volta che attraverso la frontiera francese,' confessa 'respiro meglio, dormo, mi sento tranquillo, e sicuro'. È un'intera civiltà ad attirarlo irresistibilmente: la modernità 'raffinatissima e intransigente' dell'età di Luigi XV, fiduciosa nell''uomo perfetto'; la follia 'fredda, chiara' di Cocteau e Giraudoux, che correggono con l'immaginazione quanto di troppo cartesiano c'è nello spirito francese; il colore del cielo di Parigi, degli alberi e dell'acqua della Senna, che Madame Schiaparelli sa catturare nelle sue stoffe. Ma il giornale di Malaparte è un racconto attorno a un 'io' destinato al naufragio, in un'epoca che non gli appartiene più. I salons dove intreccia conversazioni con scrittori, gente di teatro, artisti e diplomatici sono ormai solo un riverbero del passato. I quattordici anni trascorsi hanno scavato un solco: nello sguardo di Mauriac, Malaparte coglie ora un oscuro rimprovero, e in quello di Camus incomprensione se non odio. È lo scotto che deve pagare in quanto italiano, e sospetto di collaborazionismo. Intorno a lui ormai serpeggia la convinzione 'che soltanto i Francesi abbiano lottato per la libertà': il sogno di una patria ideale non ha retto all'impatto della Storia, e ha lasciato posto alla lacerante solitudine di chi si scopre straniero in due patrie.
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