Una sovrapposizione di sguardi, quello di Levi, di Staino e di Di Consoli, due dei quali "stranieri", che penetrano la realtà per andare oltre e al di là di essa. "Levi era uomo di scienza e di ragione - scrive Andrea Di Consoli -, ma ha sempre avuto qualcosa, nello sguardo e nell'atteggiamento, di mitopoietico, di mitologico, di olimpico, com'è stato più volte detto. Per quanto egli stia con precisione e lucidità nel qui storico, nelle concrete pieghe del reale, in lui emerge sempre questo sguardo "superiore", tra il lirico e il mitologico, di chi osserva le cose da una sorta di altura sacra'. E aggiunge, parlando di Staino: Il suo sguardo "porta il Cristo altrove, lo rende universale, disarcionandolo dall'iconografia tradizionale del realismo meridionalistico. È come se Isabella Staino ricollegasse quest'opera all'immaginario universale della favolistica popolare - ho pensato a Chagall -, in tal modo dimostrando un aspetto fondamentale, e cioè che l'opera di Levi non è regionalistica, ma universale, perché tutte le civiltà contadine del mondo hanno questa stessa complessità e stratificazione morale e spirituale". Con una prefazione di Franco Arminio. Das Urheberrecht an bibliographischen und produktbeschreibenden Daten und an den bereitgestellten Bildern liegt bei Informazioni Editoriali, I.E. S.r.l., oder beim Herausgeber oder demjenigen, der die Genehmigung erteilt hat. Alle Rechte vorbehalten.
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