La nuova raccolta di Roberta Dapunt si snoda intorno a una serie di nuclei: il dolore come esperienza personale, come natura umana, come indignazione per le vicende collettive, siano le guerre, i migranti, il virus o la violenza sulle donne; e il silenzio, anzi, i silenzi, che non devono nascere da costrizione ma dallo stupore, dal pianto, dalla contemplazione; le sensazioni del sacro, visioni, odori, suoni; e la scrittura con la sua potenza e la sua impotenza, con i suoi tempi verbali nei quali è difficile immedesimarsi, così come è difficile riuscire a identificare se stessi nel fluire del tempo non verbale. L'intersecarsi di questi temi forma un percorso, una storia personale e collettiva raccontata con una forte tensione che non viene mai meno. E con una voce sempre alta, ma che non si fa mai enfatica grazie alla profonda perplessità che la anima da dentro.
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