Cos'è la "disisperanza"? Un neologismo, certo, ma per dire cosa? Chi ne voglia trarre un significato univoco, non potrà che leggerne una forzatura lessicale per esprimere ciò che normalmente definiamo disperazione. 'Quanta indegnità prima di vedere i fiumi / straripare nei boulevard, quanta appropriatezza / nei modi e nelle immagini del fango...'. Ma per chi non si voglia arrestare all'immediata evidenza, esiste la possibilità di evocare una sorta di doppia negazione, una disperazione capace di tradursi nel suo contrario attraverso il prolungamento ambiguo del suo prefisso. Quindi, "disisperanza" come "speranza"? Forse abita qui il nocciolo segreto della poesia di Elio Tavilla: immergersi nel pozzo dello sgomento, rifuggire dalle sirene delle "illusioni perdute", dare per dispersi gli orizzonti gravidi di promesse future - e, ciò facendo, alleggerirsi delle zavorre ideologiche e dei buoni propositi, per esperire invece un senso inedito di umanità, una libera adesione al proprio destino, un amore incontrastabile per ciò che è, qui e ora. Intorno a noi paesaggi disastrati dalla guerra o lembi di periferia, zone industriali, strade di quartieri ormai abbandonati. È qui che nasce - se davvero è destinato a nascere - un principio di terrestre 'pietas' per animali e piante e cose inanimate, forse persino per i propri simili, benché portino la colpa del disastro circostante. 'La croce l'ha portata / in lungo e in largo, ora / solo una cosa: inventami / un luogo di sventura, che si / veda bene l'altro, l'ignaro / il topolino curvo sul suo cibo / marcio'. Das Urheberrecht an bibliographischen und produktbeschreibenden Daten und an den bereitgestellten Bildern liegt bei Informazioni Editoriali, I.E. S.r.l., oder beim Herausgeber oder demjenigen, der die Genehmigung erteilt hat. Alle Rechte vorbehalten.				
				
				
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