L'autobiografia del grande regista si snoda come un film, nel quale i personaggi sono i fantasmi della memoria, i morti "costretti a tormentare i vivi", "il mondo perduto di luci, profumi, suoni" congelato nell'infanzia che a volte si scioglie liberando sentimenti dolci e struggenti. Un percorso che annoda presente e passato svelando quanto della propria esperienza vissuta traspaia nell'opera teatrale e cinematografica. Non ci sono reticenze né falsi pudori nel raccontare le prime esperienze erotiche dell'adolescenza o i grandi amori della maturità, come quello per Liv Ullmann, o l'entusiasmo giovanile per il nazismo, né alcun narcisismo nel ricordare gli incontri con von Karajan o Greta Garbo. Il cerchio della memoria si chiude con una pagina tratta dal diario della madre, in cui si racconta la nascita di Ingmar e l'eventualità che il piccolo non sopravviva, data la sua debole costituzione.
Questo libro è, a suo modo, una prova di regia. Gli attori di Ingmar Bergman sono, questa volta, i fantasmi della memoria, il «mondo perduto di luci, profumi, suoni» congelato nell'infanzia che a tratti si scioglie liberando sentimenti struggenti, ricordi crudeli, furori artistici e sconfitte, verso cui Bergman non mostra alcuna indulgenza. Il percorso della memoria non è lineare, intreccia i fili dell'infanzia con la ricostruzione di una regia teatrale, con la difficile realtà del cinema, con storie familiari e i primi amori. Nessun narcisismo vela le esperienze erotiche dell'adolescenza o della maturità, l'intenso amore per Liv Ullmann o gli incontri con tanti personaggi famosi del mondo dello spettacolo, da Greta Garbo a Ingrid Bergman e a Herbert von Karajan. Con la stessa schiettezza sono rievocati i confusi entusiasmi giovanili per il nazismo o lo sgomento per l'assassinio di Olof Palme. Il cerchio della memoria si chiude, come a suggello di una vita così intensa, con una pagina tratta dal diario della madre, in cui si racconta la nascita di Ingmar e l'eventualità che il piccolo non sopravviva, data la sua debole costituzione.
Questo libro è, a suo modo, una prova di regia. Gli attori di Ingmar Bergman sono, questa volta, i fantasmi della memoria, il «mondo perduto di luci, profumi, suoni» congelato nell'infanzia che a tratti si scioglie liberando sentimenti struggenti, ricordi crudeli, furori artistici e sconfitte, verso cui Bergman non mostra alcuna indulgenza. Il percorso della memoria non è lineare, intreccia i fili dell'infanzia con la ricostruzione di una regia teatrale, con la difficile realtà del cinema, con storie familiari e i primi amori. Nessun narcisismo vela le esperienze erotiche dell'adolescenza o della maturità, l'intenso amore per Liv Ullmann o gli incontri con tanti personaggi famosi del mondo dello spettacolo, da Greta Garbo a Ingrid Bergman e a Herbert von Karajan. Con la stessa schiettezza sono rievocati i confusi entusiasmi giovanili per il nazismo o lo sgomento per l'assassinio di Olof Palme. Il cerchio della memoria si chiude, come a suggello di una vita così intensa, con una pagina tratta dal diario della madre, in cui si racconta la nascita di Ingmar e l'eventualità che il piccolo non sopravviva, data la sua debole costituzione.







