Riflettere sul rapporto tra conflitto e potere a partire da Machiavelli e dal suo Principe significa comprendere perché il conflitto non può prescindere da un ordine, e che l'unità della politica è in un certo senso immanente al conflitto. Non c'è comunità umana che storicamente possa neutralizzare l'ambivalenza del conflitto: nella scena della città, in condizioni di diversificazione sociale che permea gli umori dell'agire pubblico e politico, la pluralità umana, nello spazio della contingenza e nel tempo dell'evento, genera conflitti. Nella "contraddizione antropologica" che lo contraddistingue, l'uomo è produttore di inquietudine, perché è vicissitudine del mutamento: egli è protagonista dell'inquieto conflitto. Per il vivente umano c'è tensione continua tra politica, unità, ordine, conflitto e potere. Pertanto, la certezza che il conflitto e il potere pervadano la "realtà effettuale" dell'umano è antropologicamente, politicamente e storicamente evidente. Ciò che occorre dirimere è il legame tra la politica come conflitto e la politica come conoscenza di questo conflitto. Nello sguardo della filosofia politica, il "gesto rivoluzionario" di Machiavelli consiste nel fatto che egli non deplora la divisione, i tumulti, i conflitti, non vede in essi una scissione destinata ad essere superata, ma li concepisce anche come il principio e il motore della libertà, ecco perché egli fa l'"elogio del conflitto", che dà vita a una comunità politica... Das Urheberrecht an bibliographischen und produktbeschreibenden Daten und an den bereitgestellten Bildern liegt bei Informazioni Editoriali, I.E. S.r.l., oder beim Herausgeber oder demjenigen, der die Genehmigung erteilt hat. Alle Rechte vorbehalten.
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