Se giuri sull'arca di Mattia Tarantino è poemetto dal ritmo profetico, che sta sempre tra impostura e rivelazione. Ed è sulla profezia che la lingua si fa rarefatta ma necessaria; quasi lingua d'uccelli, d'avventori momentanei e casuali, di estinti fonemi riattivati; una nervatura passionale (quasi impensabile, laddove ogni passione pare ristretta e asciugata), esistenziale, che apporta al campo poetico l'impensabile della raffigurazione. Perché questa è poesia dell'irrappresentabile, dell'ingiudicabile condizione di essere prima o di essere dopo nel linguaggio. Tarantino, infatti, esiste come un'impalcatura a priori sul segreto generativo della poesia. La preveggenza del verso è sempre una coscienza di esso, il cui fine è un atto recitante senza freni. Siamo quasi al modo di Mallarmé che indìce un'algebra numerologica, cabalistica, alfabetica, riconoscendo alla testualità la sua preesistenza (al modo delle idee di Platone) e la sua posticipazione al modo del fatto, del fato, al modo tipografico. Nel punto liminare di ogni interpretazione possibile restano soltanto il presumibile, il terrore, il ritorno. [dalla prefazione di Michelangelo Zizzi] Das Urheberrecht an bibliographischen und produktbeschreibenden Daten und an den bereitgestellten Bildern liegt bei Informazioni Editoriali, I.E. S.r.l., oder beim Herausgeber oder demjenigen, der die Genehmigung erteilt hat. Alle Rechte vorbehalten.
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