E se al nome di ¿Shakespeare¿ rispondesse, più che l¿identità certa di un genio indiscusso, un tessuto di relazioni e di lavoro comune? Il Sir Thomas More è forse l¿esempio più lampante di tutto ciò; scritta a più mani da noti drammaturghi del tempo come Anthony Munday, Henry Chettle, Thomas Dekker e Thomas Heywood, quest¿opera conserva l¿importante impronta di Shakespeare, il quale intervenne nella revisione del testo con una scena molto significativa, che risuona ancora oggi come un monito a riconoscere la libertà di coscienza e il diritto all¿asilo degli immigrati ¿economici¿, o di altra natura. L¿accoglienza dell¿estraneo/straniero/alieno, e dunque dell¿altro punto di vista, e il rispetto delle differenti dinamiche della coscienza individuale non possono che essere la cifra di quell¿uomo libero che è stato Thomas More, condannato a morte da Enrico VIII sulla pubblica piazza per essersi rifiutato al giuramento richiesto dal re, che tanto lo aveva amato. Per tali controverse vicende, i cui strascichi erano ancora ben vivi all¿epoca in cui il testo fu scritto, More era un personaggio ingombrante, sì che dedicare proprio a lui un¿opera teatrale era un passo rischioso e molto azzardato ¿ la materia tanto incandescente da suscitare la censura. Ora un testo complesso e per certi versi misterioso, il cui fascino è, se possibile, reso ancora più forte dagli enigmi e dalle incertezze che lo circondano, ritorna, presentato in una nuova traduzione attenta a cogliere e portare in superficie le diverse voci che lo compongono.
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