"Canta la Cicala" descrive la vita dei contadini romagnoli tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, raccontata con le parole di uno di loro. Il libro (prima edizione 1978) raccoglie i frutti di cinquant'anni di ricerca condotta in prima persona da Italo Camprini, ex bracciante agricolo, e propone un susseguirsi vivissimo di immagini della cultura contadina. Ne viene fuori una Romagna antica e allo stesso tempo nuovissima per il lettore, non turistica né urbana, dove il lavoro più duro assume una dimensione di vita e di sopravvivenza e dove la comunità è sempre presente come fondamentale forza educante. Nel presentare a distanza di quasi mezzo secolo questa nuova edizione, Roberto Farné analizza come il "tempo biologico" (il ciclo stagionale dei lavori, la rigida struttura familiare e sociale), descritto da Camprini come immutabile e circolare, sia stato modificato dal "tempo culturale" (una guerra, il Fascismo, un'altra guerra, la Liberazione, la democrazia) che lo ha trasformato in una struttura a spirale aperta verso il cambiamento e un progresso continui. Progresso, nota Farné, che lascia però una domanda in sospeso: fino a quando? Il mondo descritto da Camprini era infatti basato naturalmente sulla sostenibilità, al punto da non conoscere questo termine e i problemi ad esso sottesi. Ma oggi? Nessuna nostalgia comunque per un mondo dove «...i bambini non andavano a scuola, lavoravano a otto anni, venivano picchiati, morivano di appendicite e gli adulti, le donne soprattutto, non se la passavano meglio.» «Era necessario che quel mondo finisse per poterlo conoscere davvero, e quindi comprenderlo nella sua complessità». Era necessario guardarlo dalla giusta distanza.
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