Grazia Deledda (prima, e finora unica, italiana ad aver ricevuto il Nobel per la letteratura) ha narrato la sua Sardegna come luogo mitico e come archetipo di tutti i luoghi, terra senza tempo e sentimento di un tempo irrimediabilmente perduto, spazio dell'essere e universo antropologico entro cui si consuma l'eterno dramma del vivere. La sua è stata un'operazione culturale volta alla ricomposizione, attraverso la sublimazione letteraria, di questa identità che supera la separazione storico-culturale dell'isola con il continente per diventare spazio dell'esistenza assoluta. Nei suoi romanzi, in cui sono forti gli echi degli autori russi, convivono l'ineluttabilità del destino e dell'ingiustizia con la coscienza del peccato e dell'errore che si accompagna al tormento della colpa, alla necessità dell'espiazione e del castigo; ma anche un forte vitalismo in contrapposizione all'affanno di questa «lenta morte della vita».
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