Ogni frase ha una forma di "spiazzamento" e di ironia. La felicità che "forse" si trova sopra i capelli, e in particolare nei cappelli, gioca sul doppio significato di "cappelli", suggerendo che ciò che cerchiamo sia spesso proprio sopra di noi, ma non immediatamente evidente. La vendetta e i guai sono relegati a posizioni umili e sottomesse, "sotto i tacchi" o "sotto i piedi", come a dire che possiamo controllare ciò che ci fa del male o ci mette sotto pressione, ma solo se sappiamo come dominarlo. La poesia è "sulla lingua", un atto di espressione immediata, come un'onda di parole che emerge dall'interno. La conclusione, con il barbiere "fidato" e il cappello che "non uso mai", suggerisce un distacco dalla convenzionalità e una riflessione sulla propria identità. Il barbiere è sempre "lì", un punto di riferimento, ma il cappello, pur essendo sopra la testa, non viene indossato, indicando forse una certa resistenza alle convenzioni sociali. In questo gioco di immagini e metafore, Labita ci invita a riflettere su come interpretare la realtà e su come il linguaggio possa essere sia uno strumento di liberazione che di soffocamento. L'uso di una struttura quasi surreale e la tensione tra il significato letterale e quello simbolico creano un tono che è insieme provocatorio e riflessivo, offrendo un invito a cercare risposte dentro se stessi.
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