Almeno sedici ore al giorno, sette giorni alla settimana, 365 giorni all'anno, il tutto moltiplicato per sei anni. A soli ottanta chilometri da Roma, nell'Agro Pontino, Balbir ha lavorato in condizioni di schiavitù per una retribuzione che variava tra i 50 e 150 euro al mese. Per mangiare, rubava il cibo che il padrone italiano gettava alle galline e ai maiali. Un inferno vissuto in un Paese democratico che afferma di essere fondato sul lavoro. Balbir ha però deciso di non rassegnarsi e di ribellarsi, di combattere per la sua e la nostra libertà e dignità, rischiando la vita più volte. Un uomo in rivolta, come direbbe Camus, la cui lotta ed esempio sono il più grande antidoto contro ogni forma di razzismo, fascismo, violenza, sfruttamento e schiavismo. Lui è Balbir Singh, un bracciante indiano, e questa è la sua storia.
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