Seduto alla Fontanella, Rosinello Capobianco conta le mattonelle e mette in fila i ricordi, belli e brutti - che, proprio come le mattonelle, si contano sempre a tre a tre. Storie mezze vere e mezze false, racconti di seconda e terza mano, frammenti di vite sfiorate, echi di favole, di sogni, di preghiere: l'illustre mastro Nicola Trabaccone, che gli ha insegnato il mestiere della rilegatura, Giacomino Tiracchia, che leggeva Verga in mezzo al suo campo di girasoli, Cenzino che è tornato dall'America mentre Rosinello ha potuto solo sognarla, Libbò che parlava solo per proverbi e Ginetta Petrosemolo con la sua gonna a fiori, a cui Rosinello ha strappato qualche bacio di straforo e che forse, se avesse avuto un po' più di coraggio, avrebbe potuto essere il suo grande amore. Si inanellano i ricordi e i racconti, brandelli di vite leggere come pezzi di stoffa portati dal vento, con tutte le loro piccole e grandi disperazioni, il loro carico di desiderio, gioia e dolore, le cose volute e mai avute, le cose sopportate, le cose assaporate fino alla fine, come l'ultima goccia nel bicchiere prima che la taverna chiuda. Dopo Liborio, dopo Mengo, la voce inconfondibile e poetica di Rosinello aggiunge un nuovo capitolo all'epopea degli sfasulati, un altro tassello a quel paesaggio in cui ogni frammento può contenere stelle, lune, pianeti, galassie, e dove l'atto dolcissimo e doloroso del ricordare è una mano tesa, un dono fraterno, un canto che scoraggia la morte e strappa la promessa di un racconto eterno.
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