Natalia Ginzburg ha cambiato le modalità di narrare la memoria: molti dei suoi libri, come Lessico Famigliare e Le piccole virtù, sono un'autobiografia che però resta apparentemente impersonale, un racconto «di pura, nuda, scoperta e dichiarata memoria», dove l'antico rifiuto di scrivere del proprio vissuto o del proprio ambiente viene superato nella rievocazione - senza sbavature sentimentali o compiacimento narcisistico - della famiglia, degli amici, in un concerto di voci salvate dalla distruzione del tempo. La sua cadenza è un ritmo che viene da un ascolto attento ai caratteri della conversazione informale, patrimonio di tutti. Lessico e linguaggio diventano prolungamenti del cuore e del corpo, quelli con cui - diceva - è necessario scrivere, «e non già con la testa e col pensiero». Gli ultimi romanzi e i testi per il teatro, da Caro Michele a Ti ho sposato per allegria, vedono la scrittrice interprete aspra ma non moralistica e qualche volta perfino divertita della nuova realtà, centrata sulla crisi dell'istituzione familiare, la caduta di un centro regolatore del mondo e degli affetti.
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