La parola di Giobbe, la parola della sventura, che d’un colpo, se solo lo vogliamo, se non la sconfessiamo, possiamo ritrovare sulla bocca muta di tutti gli sventurati di oggi, è una parola in grado di sostenere lo scontro coi discorsi di regime, di prestar voce a una coscienza collettiva silenziata dal battage quotidiano della terapia, che arriva da tutte le parti con lo scopo precipuo di mettere le cose a posto. Se abbiamo perduto Giobbe, con le sue domande folgoranti e indocili, abbiamo anche simultaneamente perduto l’altro.
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