Rimasto orfano di padre all'età di cinque anni, Sebastiano Satta (Nuoro, 1867-1914) crebbe con la madre e il fratello Giuseppe, acquisendo da subito una straordinaria sensibilità. Mentre studiava diritto in università a Sassari fondò il giornale "L'Isola", iniziando così a dare prova di sé come letterato. E proprio l'attività poetica fu la sua àncora di salvezza e il senso della sua vita allorché, nel 1908, dovette abbandonare l'attività forense a causa di una paralisi che l'aveva privato della parola. Nei suoi versi Satta seppe concentrarsi sugli umili, cogliendone i problemi, le frustrazioni, i sogni, ma anche le meschinerie e offrendo al contempo uno straordinario affresco del popolo barbaricino. Utile in questo gli fu la lezione di Giouse Carducci, la cui poesia aveva iniziato a frequentare durante il servizio militare, svolto a Bologna. Tra le sue raccolte ricordiamo "Versi ribelli" (1893), "Nella Terra dei Nuraghes" (1893), "Primo maggio" (1896) e "Canti barbaricini" (1910).
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