Questo tempo globalizzato ci appare complesso, frammentato e povero di gratuità. Sembriamo attratti solo da un'ideologia fortemente individualista e di profitto personale che ci rende inconsapevoli della nostra interdipendenza. L'idea che l'uomo sia un'isola e costruisca il suo io in modo indipendente è un abbaglio, perché la persona umana è parte di una comunità sociale e politica, pur conservando la propria unicità spirituale. La vita è un viaggio comunitario premuroso: ecco perché l'«economia della cura» è un urgente invito a un cambio di prospettiva e di postura dell'esserci. Ci invita a osare una transizione, ripensando il mondo come luogo dell'umano e dell'incontro per la crescita del bene comune, anche dove sembra che qualcosa sia danneggiato per sempre o irreparabile. Come nel Kintsukuroi, l'antica arte giapponese di «riparare con l'oro» ciò che è rotto, di cui l'immagine in copertina costituisce un magnifico esempio. Il vaso, la tazza, il piatto così riparato acquista un valore grandissimo perché mostra la sua intrinseca fragilità e al tempo stesso la sua capacità di essere rigenerato. Allo stesso modo, anche se la vita di una persona o un contesto sociale sembra "spezzato" per sempre, può essere ricomposto di nuovo. Con cura.
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